(AGENPARL) – Roma, 02 ott – «Paura di prescrivere troppo? Non credo che pesi poi molto tra le rimostranze dei pazienti che si sono rivolti al Tribunale dei Diritti del Malato per lamentare inefficienze dei medici di famiglia. Anzi a dirla tutta non solo questa paura non c’è tra di noi, ma la stragrande maggioranza teme una ricetta impropria più perché ci rimette la reputazione che per via dei controlli Asl». – NOTIZIA RIPORTATA SUL PERIODICO DI SETTORE DOCTOR33 – Vittorio Caimi, presidente del Centro studi e ricerche in medicina generale (Csermeg) analizza i dati del Rapporto Pit Tdm: delle 24 mila segnalazioni pervenute al Tribunale dei Diritti del Malato nel 2013, un 15% punta l’indice contro l’assistenza territoriale e un quarto di questa porzione riguarda il mancato rilascio di una ricetta da parte del medico di famiglia o visite domiciliari negate. Sale invece al 20% (+6,7%) chi lamenta difficoltà d’accesso alla riabilitazione e la mancata attivazione dell’Assistenza domiciliare. «Pur interessanti, i dati Pit andrebbero elaborati qualitativamente. Nell’assistenza territoriale, a parte il caso – non rarissimo – del paziente che ci chiede la Rmn total body senza particolari indicazioni, da riequilibrare con una corretta comunicazione con il medico, le segnalazioni di inefficienze del mmg a volte si intrecciano con situazioni in cui ci è impossibile prescrivere la prestazione più efficace. La medicina generale ha bisogno d’infermieri e fisioterapisti a domicilio del paziente, e ciò avviene in poche realtà; peraltro il medico di famiglia può prescrivere una fisioterapia solo a seguito di una dimissione ospedaliera e in tempi di spending review le possibilità di ottenere questi interventi, pur fondamentali, difficilmente crescerà. Manca poi, in molti casi, un servizio infermieristico collegato con il medico di famiglia: per restare alla Lombardia, e a Monza dove opero, è esternalizzato, separato dal contesto clinico se non per le interazioni su base volontaria. Infine, manca un’integrazione con i servizi sociali e gli assistenti sociali: il paziente che ha più bisogno d’interventi domiciliari soffre di più patologie, e spesso non è in grado di pagare un badante. Serve una gestione integrata delle cure sul territorio, differenti dai percorsi ospedalieri disegnati su pazienti acuti con una sola patologia di riferimento».


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