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Si torna a parlare del caso Meredith Kercher. A stamattina risale la nuova sentenza da cui si evince che ancora troppo poco chiara appare la dinamica di quel giorno. Le strade percorse fino ad oggi non sono, quindi, bastate a svelare il tragico mistero sul coinvolgimento o meno dei due imputati maggiori: Amanda Knox e Raffaele Sollecito.

Ricordiamo che la giovane Meredith venne ritrovata dilaniata da molteplici coltellate il 2 Novembre del 2007 nella casa di Perugia, dove viveva insieme ad altre studentesse. Da qui, sono iniziate le indagini condotte dagli inquirenti che come formiche impazzite hanno cercato le risposte a quest’inchiesta.
Prima arrestata la coinquilina Amanda Knox con il suo fidanzato Raffaele Sollecito ed infine, sotto accusa della statunitense, Dija Patrick Lumumba, rilasciato successivamente per mancanza di prove.

Poco dopo fu il turno di Rudy Guedè, condannato a 30 anni, poi 16.

Nel 2010 la corte riconosce Amanda e Raffaele come colpevoli di omicidio e violenza sessuale, dopo il ritrovamento di tracce del DNA sul coltello da cucina e sul reggiseno di Meredith, condannandoli a 26 e 25 anni di carcere.

Successivamente quelle che furono definite “prove attendibili”, vengono ritenute inaffidabili e nell’ottobre del 2011 i due fidanzatini vengono assolti.

Oggi la sentenza di assoluzione di secondo grado è stata sciolta.
A distanza di sei anni ancora tutto è da vedere. La domanda resta una: “Chi ha ucciso la povera Kercher? Quando si potrà dare un volto certo agli ignobili artefici di questo omicidio?”

Coloro che da uno schermo seguono con interesse, partecipando al dolore della famiglia, questa triste vicenda si chiedono come sia possibile che un evento così straziante debba prolungarsi nel tempo. E’ una continua sofferenza che fa crescere oltre al dolore, in molti casi, la voglia di vendetta. Non rare sono le occasioni in cui coloro che in vita hanno amato le vittime, non si ritengono soddisfatte poi della pena, che in molti casi va in contro a continue riduzioni.
Spesso i familiari delle vittime danno addirittura vita a dei gruppi dove, unendosi tra di loro, combattono per fare giustizia, a volte anche ponendosi contro gli organi giudiziari.

Quella che viene definita “doverosa azione di protesta” molto spesso nasce proprio a causa di riti così lunghi, doverosi o meno, sempre fortemente debilitanti moralmente per le famiglie delle vittime che si trovano a intraprendere vere e proprio guerre quando dovrebbero in pace, piangere su quelle morti così devastanti e inaspettate.

Annacaterina Scarpetta


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