Conto i passi che mi separano da lui: dal mio obiettivo. Lo sto pedinando da più di trenta minuti e la smania di completare il lavoro al più presto e tornare a casa mi sta avvolgendo completamente. Eccolo che esce dal negozio di abbigliamento. Ha due buste in mano. Sembra volersi dirigere verso casa. Finalmente. Non ne potevo davvero più. E’ tempo di agire. La caccia continua. Mi mescolo tra la folla e continuo a pedinarlo. Non può accorgersi di me, in alcun modo. Un uomo con completo nero e camicia bianca è all’ordine del giorno in una città come questa. Ho qualche goccia di sudore sulla fronte. Prendo il fazzoletto dal taschino della giacca e mi asciugo. Il cielo è coperto da nuvole viola che donano alla città un’atmosfera surreale. Ecco. Per concentrarmi sulle nuvole ho perso di vista il mio obiettivo. Accelero il passo e lo ritrovo, con le due buste in mano, a passo lento di chi sta trascorrendo una bella giornata in giro per la città. Per un istante vengo pervaso da profonda tristezza accompagnata dalla consapevolezza di ciò che sto per commettere. Ma non c’è tempo per i ripensamenti. Quattro anni fa ho deciso di intraprendere la carriera del sicario. Credo di aver fatto la scelta sbagliata. Ci penso ogni maledetto giorno. D’altro canto questo lavoro mi ha salvato economicamente. Non si può avere tutto. La mia preda imbocca una strada desolata, ma so che non è il momento di agire. Devo aspettare che entri in casa. A forzare una porta non ci vuole nulla. Zero testimoni, zero problemi. La preda è ormai ad un passo dalla sua splendida casa. Appoggia le buste per terra, prende le chiavi, apre la porta ed entra. Io aspetto per qualche minuto fuori, lo lascio rilassare, voglio che pensi che è tutto sotto controllo, per poi attaccare. Il mio obiettivo ha lasciato le finestre aperte. Si ferma al primo piano, squilla il telefono e risponde. Dopo pochi minuti attacca e si reca al secondo piano della sua splendida dimora. E’ ora. Indosso i miei guanti di pelle neri e inserisco il silenziatore sulla pistola. Mentre forzo la porta il più silenziosamente possibile il sudore mi scorre negli occhi e mi annebbia la vista. Trattengo il respiro finchè non sono dentro. Richiudo la porta dolcemente. Camminare con passi felpati è una capacità innata e per fortuna la padroneggio alla grande. Ed ora la parte più difficile: le scale. Passo dopo passo, gradino dopo gradino, sono al secondo piano. Acqua che scorre. Il mio obiettivo sta facendo la doccia. Ho un po’ di tempo per riprendere fiato e preparare con cura l’esecuzione. Sul tavolo ci sono molti soldi e delle buste di coca. L’unica mia consolazione è che sto per ammazzare un uomo malvagio. Pianto i piedi paralleli alla porta del bagno, a quattro-cinque metri di distanza. Punto la pistola verso la porta. Pochi secondi e tutto sarà finito. L’acqua smette di scorrere. L’obiettivo esce dalla cabina doccia. La porta si apre. Paura. Secondi che durano minuti. Sparo. Sangue & tonfo sordo sul pavimento. Mi trovo in casa di una persona che neanche conoscevo. Il sudore sulla mia faccia e sul mio corpo si è raffreddato provocandomi brividi. In mano ho una pistola con il silenziatore. Ai miei piedi l’obiettivo ha un proiettile nel cuore. Una goccia di sangue sulla mia scarpa sinistra. La pulisco con il fazzoletto della giacca che poi getto per terra. Il mio compito è finito. Esco di casa in fretta ma senza destare sospetti. Agli occhi di chiunque potrei essere un amico della vittima che è passato a fargli un saluto. L’obiettivo viveva da solo. Ci vorrà del tempo prima che qualcuno si accorga dell’accaduto. Prendo il cellulare e chiamo il mio capo. “Ho finito. L’obiettivo è stato neutralizzato. Dimmi dove posso raggiungerti per avere i soldi” “ Vieni alla stazione, ti offro anche un caffè…”

 

Gabriele Vito


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