di Luca Di Ciaccio – 23 aprile 2012 –

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Come quando le luci si spengono all’improvviso, la musica e le voci si placano, pure i ballerini incrociano le braccia, e si crea un sentimento di attesa. Dino Pascali, dj da discoteca prestato alla politica, è uno che sa come creare l’atmosfera. Quando nella sala – strapiena – dell’hotel Mirasole dove la coalizione di centrodestra “Per il bene di Gaeta” presenta il suo programma e il suo candidato sindaco, su un maxischermo viene proiettato un documento, una lettera di referenze, carta intestata del Comune di Fondi e firma del commissario prefettizio Guido Nardone, tutti si bloccano. Un prefetto, mandato in un Comune che rischiava di essere sciolto per mafia, che ringrazia il dirigente con cui aveva proficuamente collaborato. Cosimino Mitrano è quel dirigente e forse tra poco sarà sindaco di Gaeta in quota Pdl, ma adesso annuisce in un angolo, “ecco che gli scappa una lacrima” fa notare il dj Pascali. Ci spera Mitrano che questo “certificato antimafia” pronto all’uso, e già stampato sulle migliaia di copie del suo programma elettorale (“il mio programma è la Bibbia!” garantisce), faccia dimenticare quegli altri certificati antimafia che lui invece pare omettesse di chiedere alle aziende che facevano affari col Comune di Fondi. Ci spera che l’onorabile firma di un Prefetto valga più delle tante foto col suo padrino politico Claudio Fazzone, senatore fondano del Pdl, che invece le firme le metteva per vergare centinaia di lettere di raccomandazione alla Asl. Tanto lo so, dice, che queste chiacchiere giudiziarie non mi faranno perdere voti, ma la mia è una questione di onorabilità da difendere, io di fronte ai miei concittadini e ai miei figli voglio camminare a testa alta.

“A testa alta, lui? Ma se ogni volta che ci vediamo non mi guarda mai in faccia?”. Damiano Ciano è un fiume in piena mentre alza la saracinesca del suo negozio di tabacchi sulla piazza del Municipio. “Cosa c’è nel rapporto del prefetto Frattasi che è stato secretato dai pm? Mitrano era dirigente di un Comune travolto dalle infiltrazioni criminali e mafiose, di una macchina comunale in buona parte finita sotto processo, cosa sapeva lui? Quali firme ha messo, quali pagamenti ha autorizzato? E com’è riuscito a farsi assumere e fare carriera in un contesto del genere?”. La tv di paese Tele Monte Orlando, coi suoi sfondi di tappetino blu e le sue marcette borboniche, è ormai una specie di fortezza assediata dei civici raimondini, e Damiano, insieme al padre assessore Antonio, tra una replica di Santoro e un video di Grillo, è diventato l’inquisitore numero uno del candidato sindaco Pdl. “A me non interessa la spiegazione giudiziaria, il mio è un discorso politico. Né mi interessa fare l’eroe, con tutte le minacce che ricevo. Qui si parla di mafia, e c’è poco da scherzare, noi viviamo in una zona a rischio”.

Ma in uno Stato di diritto, e perfino nel sudpontino “a rischio”, esiste la presunzione di innocenza. E Cosimino Mitrano non risulta né indagato né coinvolto in nessuna delle indagini e dei processi sul caso Fondi, che pure hanno accertato la presenza di infiltrazioni criminali in quel Comune. Il fatto è che da queste parti le regole e i principi ognuno se li stringe e se li allarga alla bisogna. Cosicché se il teorema del “non poteva non sapere” lo si applicasse anche al sindaco uscente di Gaeta Antonio Raimondi si avrebbe la conferma che amministrare è una cosa difficile, un lavoro che non è fatto per gli eroi. Poteva non sapere, il sindaco civico di tendenza centrosinistra, delle cattive compagnie con cui si sedeva al tavolo per la riqualificazione dell’ex vetreria Avir (“anche i giudici possono sbagliarsi” commentò la scorsa estate), oppure dell’inchiesta per truffa sull’appalto per la raccolta dei rifiuti che ha coinvolto alcuni dirigenti e funzionari (“l’appalto sulla nettezza urbana? Non ho avuto il tempo di leggerlo”), oppure dei pasticci in sanatorie e abusi edilizi familiari di qualche suo assessore. Poteva non sapere, visto che anche lui non risulta né indagato né direttamente coinvolto in nessuna inchiesta della magistratura, e continua compiacente a definirsi come “il baluardo della legalità”.

“Il fatto è che oggi la politica si fa in maniera sporca, ma nell’odio antipolitico ci finiamo dentro tutti”. Franco Schiano soppesa le parole mentre gira il cucchiaino nel tazzina di caffè. Mezzo cronista, mezzo politico, l’estate scorsa si fece venti giorni di carcere per lo scandalo appalti che fece crollare tutta la giunta di centrodestra sull’isola di Ponza. “Il fustigatore è stato punito” scrissero alcuni fans del sindaco di Gaeta su Facebook, ricordandosi delle critiche che Schiano, da cronista sui giornali locali, rivolgeva a Raimondi. “Io sono sicuro che uscirò innocente da questa storia, e anche con Raimondi ci siamo chiariti. Ma vedo un brutto clima. Bisogna avere rispetto per le persone, perché spesso gli schizzi di fango tornano indietro a chi li ha lanciati. Da quello che si sa i nostri candidati sindaco sono tutti puliti, . Allora a cosa serve questa campagna giustizialista? Solo a ricompattare i propri elettori delusi, o a mettere in guardia la stampa, perché poi alla gente comune non arriva niente di tutto ciò”. Lui preferisce tenersi fuori dalla mischia. “Oggi per amministrare bisogna sapere dire dei sì e dei no, e poi se ti vogliono incastrare stai sicuro che un modo lo trovano sempre”.

Può darsi che i gaetani vogliano un salto di qualità. Sembrano troppo inconcludenti i politici che si vantano della propria onestà e che volevano vendicare i lustri passati di mala amministrazione. Sembrano troppo pasticcioni i loro predecessori, quelli che uscivano dalla banca con in tasca mazzette di soldi pubblici da distribuire ad amici, parenti, amanti, più o meno bisognosi. Forse pure gli antipolitici, di destra e di sinistra, questo vogliono: un politico che salvi le apparenze ma faccia i favori, un uomo che amministri gli affari degli amici, che abbia un occhio di riguardo per i questuanti, e che sappia fare i conti.

E’ lo spettro italiano che si affaccia a ogni cambio di regime o di repubblica: il problema non è che chi comanda mangia, ma che si scordi di far mangiare gli altri che stanno sotto. Scrive l’ex giudice di Mani Pulite Gherardo Colombo, nel suo libro intitolato “Farla franca”, che gli italiani stanno ancora come li descriveva il poeta Leopardi due secoli fa, singoli che si disinteressano della loro comunità, gente che il fango rende cinica, non più in grado di credere a niente e a nessuno. Peccato che questo sia anche il miglior terreno per far prosperare corruzione grande e piccola, e sue pericolose saldature criminali. Ma, per fortuna, a Gaeta saremmo in buone mani: tra chi il male l’ha visto e dice di esserne uscito indenne, e chi sostiene ogni giorno di combatterlo ma ogni tanto non lo riconosce.

fonte:www.ludik.it


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