DOMENICA 11 MARZO 2012 ALLE ORE 19.00 DIBATTITO

CHI DICE DONNA DICE…” PRESSO LA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN CARLO BORROMEO IN GAETA

 

 La Parrocchia di San Carlo Borromeo, presenta per domani domenica 11 marzo, alle ore 19.00, l’incontro dibattito dal titolo “Chi dice donna dice …”, tenuto dalla professoressa Mariapalma Colaguori e incentrato sulla dignità e sulla vocazione

della donna alla luce della lettera apostolica “Mulieris Dignitatem” del Pontefice il Beato Giovanni Paolo II, che è ricchissima di spunti capaci di far realmente progredire la riflessione sulla donna.

Nel 2006 nella rivista di ricerche dell’Istituto Teologico di Assisi e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di AssisiConvivium Assisiense”, tra l’altro, si annota la possibilità di parlare di Dio con immagini femminili allo stesso modo e con la stessa efficacia di quanto si possa fare utilizzando immagini maschili.

Al paragrafo 8 della Mulieris dignitatem si afferma infatti che, dal momento che l’essere umano è a immagine e somiglianza di Dio, esso/a gli somiglia e quindi è possibile descrivere Dio con immagini umane; queste poi possono essere, in egual modo maschili e femminili, tanto più che in Dio non esiste una caratterizzazione sessuale, quindi le immagini utilizzate non significano un condizionamento di Dio rispetto alle caratteristiche umane: Dio è padre e madre.

Il discorso sulla possibilità di utilizzare immagini femminili per parlare di Dio è stato affrontato più volte dalla teologia femminista, la quale ha notato come l’uso esclusivo di simboli maschili e patriarcali per parlare di Dio abbia prodotto effetti concreti sulla vita della Chiesa e in particolare abbia contribuito all’emarginazione e alla sottomissione delle donne.

La teologia femminista si pone, per quanto riguarda la critica del linguaggio teologico tradizionale, dentro un movimento più ampio che cerca un nuovo modo di parlare di Dio, a prescindere da quello ereditato dalla modernità e facente capo al teismo, secondo il quale Dio non è anzitutto mistero assoluto di Amore, ma Essere eterno reggitore dell’universo e giudice supremo; in questa ricerca tentano la via dell’esperienza femminile di Dio e della fede, recuperano i simboli femminili presenti nella Scrittura, richiamano l’attenzione su aspetti ritenuti secondari perché femminili: è giunto il momento di integrare i simboli maschili con quelli del mondo della donna per contemplare un volto di Dio più ricco e più vicino alla realtà.

In tale processo non fa problema l’uso di termini che non siano biblici o che fino a questo momento non siano appartenuti alla tradizione, ciò che conta infatti – come faceva notare San Tommaso d’Aquino a proposito del termine “persona” – non è che un certo termine appartenga alla tradizione, ma che a questa appartenga ciò che il termine significa.

Nel riproporre l’uso di simboli femminili per parlare di Dio il Pontefice si allinea alle attese di quella parte della teologia che vuole far uscire allo scoperto le possibilità ancora insite nel linguaggio legato all’esperienza delle donne e fino ad ora troppo scarsamente considerato.

Su questa strada è possibile lavorare non solo per elaborare un pensiero sull’essere umano capace di tenere conto dell’intera vicenda umana, maschile e femminile, ma anche per un pensiero teologico che indaghi il mistero di Dio da più prospettive e senza limitazioni imposte da nessuna cultura dominante.

La seconda pista di ricerca è quella che più può contribuire all’elaborazione di un’antropologia teologica che tenga conto della caratterizzazione corporea dell’esperienza umana senza scadere nel dominio dell’elemento materiale.

Tale pista consiste nella possibilità, tutta da verificare, che la maternità serva, in quanto esperienza caratterizzante la corporeità femminile, come chiave interpretativa per comprendere il costituirsi dell’identità umana e cristiana della donna.

L’esperienza corporea femminile si ha prima, dopo e a prescindere dal realizzarsi effettivo di un concepimento, senza per questo essere sganciata dalla corporeità – ciclo mestruale, menopausa, condizionamenti ormonali – e finisce per costituire l’identità della donna in modo tale da spingerla, trascendendo la stessa esperienza corporea che conduce alla maternità fisica, a donare la propria carne perché un altro abbia la vita.

Così la vocazione cristiana, ovvero dare la propria vita nella sequela di Cristo, può ricevere dalla corporeità femminile la forma materna; non per niente Cristo ha paragonato la sua Pasqua al travaglio del parto (Gv 16, 21 – 23) e la Vergine Maria ha vissuto la pienezza della sequela e della vocazione umana nella forma della maternità, senza dimenticare però che ella è essere umano perfetto non in quanto madre, ma perché incarna nella sua esistenza femminile, cui viene chiesta la maternità nei confronti di Cristo, l’obbedienza della fede e l’unione con Dio.

La terza e ultima pista di ricerca che consideriamo a partire dagli spunti della lettera apostolica sulla donna è la possibilità di discernere l’atteggiamento tenuto nei confronti della donna dalla Scrittura e quindi dalla tradizione.

Il Pontefice individua la condizione della donna alla luce della rivelazione evangelica e degli avvenimenti della redenzione e per fare questo indaga lo stile di Cristo, commentando con attenzione e grande sensibilità le pagine evangeliche in cui si racconta l’incontro del Signore con alcune donne.

Nell’atteggiamento che Cristo ha avuto nei confronti delle donne, infatti, viene cercato il significato che la redenzione ha per la donna e quindi la novità evangelica nei confronti di colei che fino a quel momento aveva pesantemente subito le conseguenze del peccato: il principio biblico viene così riconfermato e portato a compimento.

Questa dignità viene difesa da Cristo anche di fronte alle situazioni di peccato, quando non solo è pronto al perdono delle peccatrici, ma chiama gli uomini a riconoscere la loro colpa nel peccato della donna, come nel caso della donna sorpresa in adulterio.

Continuamente egli protesta contro tutto ciò che offende la dignità della donna e per questo le donne si sentono così attratte e liberate dalla persona di Gesù da seguirlo sempre, fin sotto la croce: esse sono discepole fedeli, contemplatrici del mistero di Dio, interlocutrici di Cristo sulle più profonde verità della fede, testimoni della resurrezione.

Quello di Cristo è l’atteggiamento che rivela la piena dignità della donna, il disegno di Dio su di lei espresso in quel principio biblico con il commento del quale si apre la lettera apostolica sulla donna: ciò che non è in linea con questa novità radicata nel principio di Dio è da abbandonare.

Questo criterio per il Pontefice riguarda la Scrittura stessa, là dove essa risenta dell’antico atteggiamento nei confronti della donna; significativa a questo proposito è una affermazione al paragrafo 24 in cui si nota che gli scritti apostolici testimoniano la novità del Vangelo, ma a volte risentono anche della mentalità antica.

Questa frase si chiude con la nota 49 nella quale vengono elencati alcuni di questi brani neotestamentari – è importante sottolinearlo perché è molto più facile e indiscusso indicare i brani dell’Antico Testamento come patriarcali e culturalmente determinati da mentalità non evangelica – in cui pontefice riscontra la non conformità con il Vangelo: Col 3, 18, 1Pt 3, 1-6, Tt 2, 4-5, Ef 5, 22-24, 1Cor 11, 3-16, 1Cor 14, 33-35, 1Tm 2, 11-15.

Tali brani riguardano in particolare la sottomissione della donna al marito, il divieto di parlare in assemblea, di insegnare, profetare o pregare pubblicamente senza essere sottoposta al segno visibile dell’autorità di un uomo.

Il testo della Mulieris dignitatem opera, così, sulla Scrittura un discernimento di fondamentale importanza riconoscendo ciò che è conforme o meno all’evento Cristo.

L’iniziativa di domani pomeriggio a Gaeta è assolutamente da non perdere e va riconosciuto al parroco don Antonio Guglietta il merito di aver promosso tale appuntamento di approfondimento.

cs/arcidiocesi


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