Al netto del diluvio di retroscena, wishful thinking, fantasie e giochi di pallottoliere degli ultimi giorni, a poche ore dal ritorno di Bersani al Quirinale la situazione si conferma quella che era poche ore dopo il voto: ingovernabile secondo qualunque regola o prassi parlamentare. E l’unica soluzione plausibile si prospetta quella che si prospettava già allora: un governo del presidente, ”terzo” rispetto ai partiti e con presenze autorevoli e indipendenti. Solo che mentre un mese fa questa soluzione, promossa magari dallo stesso Bersani al prezzo di un suo passo indietro, avrebbe forse potuto esprimere lo spostamento a sinistra decretato, sia pure in misura inferiore alle aspettative, dalle urne, adesso rischia di rispondere solo a quella spinta alla ”grande coalizione” chiaramente rintracciabile nel discorso con cui Napolitano ha conferito l’incarico a Bersani e tenacemente perseguita nel frattempo da Berlusconi.

Bersani e la coalizione di centrosinistra hanno fatto senz’altro una catena di errori, che tuttavia non si possono giudicare senza prima aver detto con chiarezza che la sceneggiata ”in streaming” del gran rifiuto del M5S e la successiva esternazione di Grillo sul suo blog li fanno passare tutti in secondo piano. Il cinismo mascherato da vittimismo («siamo la generazione che non ha mai visto realizzata una promessa»), l’incoscienza mascherata da innocenza («respingiamo l’appello all’assunzione di responsabilità: siamo il risultato di questi venti anni di politica, non la causa, siamo gli ultimi a doverci sentire responsabili»), l’onnipotenza mascherata da diritto («noi siamo la società civile, siamo pronti a riprenderci la nostra sovranità di popolo e il nostro paese»), fanno dei capigruppo pentastellati due personaggi tutt’altro che innocui. E l’esternazione del loro capo, corredata del quadro di Goya Saturno che divora i suoi figli («le nuove generazioni sono senza padri, sono figlie di Nn, figli di nessuno, figli della colpa, figli di padre ignoto, figli di vecchi puttanieri che si sono giocati ogni possibile lascito testamentario indebitando gli eredi»), è un’esternazione criminale, per l’istigazione alla guerra civile generazionale che contiene e al cui confronto la rottamazione di Renzi era uno scherzo (o un antipasto?). Infine: fra i «puttanieri» di Grillo e le «troie» di Battiato, chi avesse pensato che il turpiloquio politico a sfondo sessuale fosse un incidente di percorso imputabile solo al Sultano di Arcore e non un’abitudine ben piantata nell’immaginario (maschile) nazionale è bell’e servito.

Ciò detto torniamo agli errori di Bersani. Che a essere generosi sono riconducibili a uno solo, l’ostinato tentativo di portare a ragionevolezza un’insorgenza come quella grillina che sfugge ai criteri della razionalità politica classica, a essere spietati sono indici di una vaghezza tattica e strategica preoccupanti. A chiunque era chiaro che sporgersi tanto su Grillo dopo il voto (e dopo averlo liquidato in due parole, ”fascista digitale”, prima del voto) sarebbe parso strumentale, che offrirsi come alleato a uno che ti considera la sua posta in gioco sacrificale sarebbe stato autolesionista, che incassare la presidenza di Camera e Senato sarebbe stata una vittoria di Pirro di cui Berlusconi avrebbe chiesto il conto ipotecando il Quirinale, che tentare di racimolare voti al di fuori di un patto politico esplicito sarebbe stato, e sarebbe tutt’ora, spericolato. Una sequenza che si spiega solo sulla base della convinzione neanche tanto recondita, ma anch’essa poco fondata, di poter affrontare un ritorno immediato alle urne esibendo il bottino della buona volontà tradita da Grillo (e con Renzi ancora in panchina).

Si poteva tentare un’altra strada? Forse sì, quella del governo ”terzo” di cui sopra, guidato da una personalità di sinistra ma indipendente – ammesso e non concesso che Napolitano l’avrebbe mai consentita. Adesso di strade ne restano solo due, entrambe perdenti per Bersani e per tutto il centrosinistra. La prima, poco probabile, è che Napolitano mandi comunque il segretario del Pd alle Camere, e che le Camere votino in qualche modo la fiducia dando vita a un governo incerto nella composizione, nella consistenza, nella durata, nei programmi, nei tavoli e nelle cerchie (una commissione per le riforme costituzionali in mano al centrodestra, per dirne una, riporterebbe le lancette dell’orologio della transizione a prima della bicamerale D’Alema), e minato in partenza dal solito sospetto di inciucio. La seconda è che Napolitano partorisca sì un governo del Presidente, ma spuntato del carattere innovativo che avrebbe potuto avere se fosse stato proposto per tempo da Bersani e agevolato da un suo passo indietro. Nell’un caso e nell’altro, il Pd non sarà più il partito che «è arrivato primo ma non ha vinto», bensì quello che ha perso e basta, sotto il tiro incrociato di Grillo e del solito Berlusconi. Noi invece ci abbiamo guadagnato la trasparenza dello streaming, una favola opacissima che spaccia per vero solo quello che è autenticamente finto.


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