(AGENPARL) – Roma, 03 set – E’ profondamente sbagliato anche solo pensare di aumentare l’Iva agevolata al 4 e al 10 per cento. In una fase come quella attuale, con i consumi sottoterra e più di 15 milioni di famiglie già costrette a “tagliare” su cibo e sanità per colpa della crisi, un incremento dell’Iva su beni così primari avrebbe conseguenze drammatiche, provocando un ulteriore effetto depressivo sui bilanci degli italiani, soprattutto quelli meno abbienti, e sulle imprese, prima di tutto quelle agricole. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, in merito all’ipotesi ventilata nella nota di Aggiornamento al Def che per il 2016 prevedrebbe una clausola di salvaguardia con un aumento dell’Iva e delle imposte dirette pari a 12,4 miliardi al fine di garantire il pareggio di bilancio.

Solo lo scontrino alimentare è ormai in calo da tredici trimestri consecutivi -ricorda la Cia- e la riduzione della spesa per il cibo sfiora il 12 per cento rispetto ai livelli pre-crisi (dai 129 miliardi del 2007 ai 114 miliardi del 2013). Il 77 degli italiani continua a fare economia, scegliendo i prodotti sulla base del prezzo più basso in oltre un caso su due (54 per cento). E’ chiaro, quindi, che oggi un nuovo aggravio dovuto all’aumento dell’Iva non sarebbe affatto sostenibile. Ma anche per le imprese, in primis quelle agricole, il rischio sarebbe molto alto: meno consumi vuol dire meno introiti e quindi meno produzione e occupazione sul lungo periodo.

Ecco perché il governo deve capire che non è questa la soluzione per rimettere i conti a posto e far ripartire il Paese -ribadisce la Cia-. D’altro canto, non c’è alcuna possibilità di ripresa economica attuando misure che abbattono ancora di più i consumi domestici.

 


Scopri di più da eu24news

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.