…e nel ripieno dei ravioli scivolarono anche due o tre lacrime. Con le mani lavorava la pasta verde con la farina mentre i pensieri si rincorrevano come mai. Sulla grande cucina il sugo borbottava tremendamente e, dalla pentola ovale, microscopiche polpette sembravano voler prendere il volo… Non che non avesse l’energia adatta per i preparativi del pranzo pasquale, ma era la mente a tradirla, a trascinarla in sentieri minati, sempre gli stessi, quelli del non è più possibile. Quando l’aiuto cuoco impiattò quel primo profumatissimo, ricevette i primi complimenti della giornata. Un sorriso quasi forzato costrinse la pelle del volto a reagire. E fu allora che una sonora risata attraversò la porta del passato per fare capolino nel presente! Fu allora che prese seriamente visione del suo corpo, specchiandosi nel coperchio lucente della casseruola appoggiata sul tavolo delle macedonie… Tra banane a fettine, mele a dadini, spicchi di mandarini e quello spruzzo magico di limoncello, giurò a se stessa che la sua Pasqua sarebbe stata memorabile. Così, con il naso imbiancato di camut, prese ad abbracciare tutti i camerieri e gli aiuti, quasi si fosse miracolosamente accorta del miracolo della resurrezione… “Auguri, miei cari! Che questa Pasqua sia di rinascita…per tutti….per me…” Gli sguardi s’incrociarono e si rincorsero nella grande cucina dell’albergo sul mare, quasi che le campane d’una chiesa avessero annunciato l’evento religioso più singolare dell’anno… Perchè non accorgersi prima della potenza del proprio vivere? Decise di non lasciarsi morire mentre quel pezzetto d’agnello, ignaro e coperto di salvia, raggiunse un piatto qualunque, adagiandosi sul letto poco soffice di patate novelle appena uscite dal forno. Una goccia d’olio bollente le colpì il polso, quasi a sancire un giuramento con se stessa. Amava la vita! E l’essere “risorta” le diede davvero quell’euforia pasquale della meraviglia! Sentì il sangue scorrere in tutte le sue vene e addentò perfino un pezzo di formaggio sfuggito alla guarnizione dell’antipasto coloratissimo, quello tipico delle feste… E ci aggiunse un’oliva, tanto per ribadire il proprio impegno. Poi sorseggiò del prosecco, facendo cin cin con il più giovane dei camerieri tornato con la comanda del tavolo numero sette. “Amen” dissero i suoi occhi al finocchietto che arricchiva il pane di Pasqua e, finalmente, iniziò a cantare, lasciando ammutoliti tutti i colleghi già stanchi del duro lavoro. Una Pasqua così se la sarebbe ricordata a lungo! La sua ennesima festa senza più Sandro ma con la consapevolezza di quello che davvero voleva da se stessa e dal mondo. Voleva amarsi. E -di nuovo!- amare.

Sandra Cervone


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