E’ stata una serata davvero piacevole quella tenutasi lo scorso 3 luglio presso il Bar Old Station di Gaeta. Un aperitivo/brindisi con presentazione delle due nuove Antologie di Giulio Perrone Editore: “Racconti sotto l’ombrellone” e “Materia Prima”. Nella prima sono stati inseriti racconti di SANDRA CERVONE, AMBRA SIMEONE (di Gaeta)  e ANNA RITA MASTRANGELO (di Terracina). Nella seconda la raccolta poetica “A ridosso del mio incendio” di SANDRA CERVONE. Alla presenza delle tre autrici, quindi, il folto pubblico ha potuto ascoltare due relatori d’eccezione, il critico cinematografico Alessandro Izzi e lo scrittore e poeta Max Condreas. Quindi si è passati alle letture di brani in prosa e poetici tratti dai libri in questione. Vivace il clima, cordiale l’accoglienza dei gestori del bar. Un’esperienza sicuramente da ripetere tant’è che il 25 luglio è già stata fissata una seconda serata letteraria che vedrà la presentazione di “Codice Rishi” e altri racconti di Marcello Colozzo. Interverrà ancora una volta Sandra Cervone mentre le letture saranno affidate alla magica voce di Max Condreas.

 

“A ridosso del mio incendio” è la mini-raccolta di poesie di Sandra Cervone contenuta nell’antologia a più voci “Materia Prima” pubblicata da Giulio Perrone Editore. Della Cervone ha parlato lo scrittore Max Condreas in qualità di relatore alla presentazione tenutasi al Bar Old Station il 3 luglio scorso. La riportiamo integralmente per fare un omaggio alla nostra amica e collaboratrice:

Sono anni oramai che vado predicando di come la Poesia possa riuscire dove nient’altro è in grado di farlo. Riuscire in che cosa? La domanda sarebbe più che lecita. In tutto, oserei dire. I dieci brani che compongono la mini-silloge “A Ridosso del Mio Incendio” di Sandra Cervone vogliono dimostrare di come perfino il Tempo debba arrendersi di fronte alla potenza devastante della Poesia. Ma procediamo per gradi. Ho letto con molta attenzione i nuovi componimenti della Cervone, badando a non dare nulla per scontato, a non farmi indurre in tentazione dalla profonda e sincera amicizia che ci lega da oltre dieci anni. Ne è venuto fuori una sorta di mosaico di sensazioni all’apparenza tutte contrastanti tra di loro, ma che alla fine si raggruppano per dare vita a un qualcosa di veramente inimmaginabile. Qualcosa che non credevo fosse possibile far riemergere dalle nebbie del passato. Sto parlando dell’innocenza, signori. La Cervone con il semplice ausilio di questi dieci piccoli pezzi di sé stessa, riesce a riportare in superficie quella porzione di anima che pensavamo irrimediabilmente contaminata, come il rimanente del nostro spirito, assorbito e asservito vieppiù a un corpo corrotto dalle convinzioni e convenzioni, che ci legano ogni giorno – indissolubilmente – a quello che qualcuno osa definire il normale stato delle cose. Sandra Cervone – a qualcuno apparirà incredibile – ci riporta a quella favorevole condizione di quando i sorrisi non erano forzati, di quando bastavano pochi attimi per addormentarsi la sera, di quando le uniche corse che conoscevamo erano quelle dedicate ai giochi. E come frutti del silenzio / che assaporano l’ariosa potenzialità / del nostro andare, / mi sorprendo a contemplare l’estasi gratuita / del giorno qualunque che avanza. Vi assicuro che non è facile durante una lettura, lottare con le ombre e le luci che derivano dall’aperta sofferenza del pensiero dell’autore, e risulta difficile anche cercare di non perdersi attraverso i passaggi che si aprono tra un rigo e l’altro, dove spesso vengono appositamente nascosti i malcontenti, le disillusioni, gli affanni, le tendenze suicide… Nel nuovo lavoro della Cervone le asperità sono state tutte levigate a monte, ovverossia all’interno della stessa autrice, in quel cuore che definire puro non sarebbe certo un azzardo, in modo che dal filtraggio potesse venire fuori solo il meglio della gioia e del dolore, così da trasportare il flusso della coscienza di ognuno di noi verso quell’altrove che non spaventi più di tanto, che non porti in bilico sulla pericolosa balza della noia. È proprio vero. La Poesia della Cervone è quella che colora, quella che riporta alla memoria ricordi in quadricromia, quella che difficilmente stinge verso il grigio, quella che dagli azzardi sa far nascere i buoni sentimenti, che non ha bisogno della retorica e delle false morali, quella che – in una sola parola – coinvolge positivamente il lettore, trasportandolo ben oltre i paradisi artificiosi della sperimentazione avanguardista. E infatti Sandra Cervone usa appositamente un tono dimesso, colloquiale, fa in modo che le parole non risultino sgarbate, appesantite oltremisura da forme contorte di ermetismo da ultime grida della savana, nonché da metafore incapaci di aprire il giusto varco tra scrittore e lettore, com’è invece giusto che accada. Perfino la tristezza s’illumina quando / trovo il bandolo d’una matassa dimenticata. / E m’aggrappo al divenire / del lampione rimasto acceso / fino all’alba. In questo caso il lampione diventa simbolo di perseveranza, il giusto ponte tra il buio della tristezza che è continuamente in agguato e la splendente magnificenza della vita, a cui non bisogna assolutamente rinunciare, anche quando ci si dimentica per una ragione qualunque di cercarne il bandolo. Ebbene la Cervone vuole farci capire che è possibile rinascere alla vita, anche quando la vita stessa sembra dirottarci verso lidi di rinuncia e di mutismo, e la lirica si accende ulteriormente quando, culminando in quel divenire, vuole farci partecipi – nessuno escluso – della metamorfosi che è possibile mettere in atto anche nelle situazioni più disagiate, a patto che ognuno si accetti per quello che è, senza guardarsi intorno con invidia. E l’Amore? Ve lo starete chiedendo. È forse il caso di dire che si è persa la vena romantica della vecchia Sandra Cervone, a causa delle evoluzioni riflessive nei pressi del quotidiano vivere comune? Ci mancherebbe altro. Direi piuttosto che la Cervone di questo periodo poetico si sbilancia meno che in passato, quando non riusciva a contenersi e dell’Amore che traboccava dal suo essere vittima e predatrice allo stesso tempo, ne faceva corone di spine per chiunque, quasi a voler esorcizzare quel bisogno continuo di attenzioni, di affetto. Dell’indelicatezza con cui le ore a volte sembrano volerci ridurre all’impotenza nei momenti più intimi che possiate immaginare, in queste poesie la Cervone credo non voglia proprio parlarne, tant’è vero che degli afflati neri d’un tempo, pare non ne sia rimasta traccia. L’obiettivo della macchina fotografica del suo sguardo è aperto come non mai. Nella ricerca composta – mai affannosa – dell’amenità del paesaggio di turno. Sorprende non poco quando pare addirittura suggerirci il giusto metodo di apertura verso la casualità da cui può scaturire il più eccitante dei prosiegui, facendo in modo di sviluppare una sorta di catarsi nei confronti di regole e cliché. Noi due come pedana / d’una balera estiva / con ritmati sguardi / coloriamo l’ora tarda di sublime. Mandando in confusione – riprendendo il discorso dell’inizio – finanche il Tempo, al quale non resterà altro che tentare la fortuna brandendo ali inappropriate, per nulla in grado di condurre i giochi questa volta. E amiamo del tempo presente / l’opportuna scioltezza. Come possiamo ben notare quella che una volta poteva ritenersi l’importuna chiusura del presente, oggi per la Cervone diventa tutt’altro, quasi a volerci confessare a tutti i costi l’avvenuto raggiungimento della pienezza come poetessa, ma non solo, come donna in grado di affrontare a testa alta la più snaturata delle tempeste. Da queste nuove liriche traspare prepotente il desiderio di una donna fragile a non cedere più il passo a qualsivoglia paura. La voglia di concretizzare qualunque aspirazione, nonché di percorrere insieme a chi avrà il coraggio di tenerle compagnia, quel sentiero che solamente qualche tempo prima non faceva che apparirle così tortuoso da imporle il silenzio, il pianto. Non so se davvero riusciremo a essere risacca che agguanta il suo gabbiano, ma dopo la lettura di “A Ridosso del Mio Incendio” tutti noi riusciremo sicuramente a tirare un sospiro di sollievo, se avremmo l’accortezza di convogliare la positività della Cervone all’interno dei nostri corpi, così da rendere difficile il compito alle ansie che regolarmente si divertono ad affacciarsi sul vicolo delle nostre abitudini. In ultima analisi, il nuovo lavoro di Sandra Cervone – nonostante consti di un circondario abbastanza ristretto – è in grado di spazzare via certi brutti pensieri dal fin troppo nuvoloso orizzonte delle idiosincrasie di noi tutti. E sarebbe proprio il caso di soffermarsi su alcuni passi che più di tutti gli altri fanno riflettere sulla condizione d’incapacità che viviamo in questi tempi non certo facili per quanto riguarda la Cultura e la disponibilità verso il prossimo. Mi vedrai / arrampicata / alla decenza del comunque. / Mi vedrai / al ricamato / andante lento / della musica. Personalmente – come sono abituato da sempre – farò tesoro delle sue parole, del suo concedersi nuda e cruda, senza nulla a pretendere, così da ricambiare anche solo in parte una disponibilità che
valica i passi del conosciuto, che spinge ben oltre le mura di una visuale che definire ristretta apparirebbe quantomeno eufemistico. C’è così tanto bisogno di Poesia in giro… C’è così tanto bisogno di Sandra Cervone

Max Condreas


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