DOPO IL VERTICE DI BRUXELLES.
In attesa che i risultati dei Vertici svoltisi a Bruxelles vengano implementati nelle
prossime riunioni dei Capi di Stato e di Governo e dalle proposte tecniche che dovrà
fare la Commissione europea, tre dati di fatto emergono dalla dichiarazione finale:
1. I paesi dell’Eurogruppo, chiamati a dare risposte concrete hanno dovuto
trovare un accordo per procedere sulla strada dell’unione bancaria e dell’unione di
bilancio, e per aprire quella dell’unione politica.
2. Nessun paese della zona euro sarà abbandonato a se stesso.
3. Il quadro nel quale si prendono le decisioni relative al futuro dell’Europa
è sempre più chiaramente quello dell’Eurozona.
E’ in questa ottica che bisogna leggere le dichiarazioni finali del Consiglio
e quelle dei diversi protagonisti dell’incontro, al di là dei rispettivi risvolti di politica
interna. Da queste infatti emerge come i Capi di Stato e di governo dell’Eurozona,
pur essendosi sostanzialmente limitati ad affrontare gli aspetti istituzionali legati
alla realizzazione dell’unione bancaria, hanno dovuto inevitabilmente porre le
premesse per occuparsi anche delle questioni fiscali e politiche nel quadro
europeo. Basti considerare che per realizzare l’unione bancaria essi hanno dovuto
attribuire la vigilanza sul sistema bancario alla BCE. Per affrontare il nodo
dell’assistenza finanziaria a banche e Stati in difficoltà, essi hanno dovuto
precisare ulteriormente le procedure di intervento già previste dal Meccanismo
europeo di stabilità (MES), che agirà in collaborazione con la BCE. Si è deciso di
attivare uno scudo anti-spread, abilitando il MES a intervenire sul mercato dei titoli
di debito pubblico mediante l’acquisto del debito dei paesi in difficoltà e previa
sottoscrizione di specifici memorandum d’intesa. Certo si tratta ancora di norme
tampone, ma che non possono non essere inserite in tempi relativamente brevi in
un quadro istituzionale coerente e credibile: il fatto che entro il 9 luglio un Vertice
dell’Eurogruppo debba rendere operative queste procedure e che entro la fine
dell’anno debbano essere attivati i meccanismi di sorveglianza necessari per
consentire agli organi del MES e alla BCE di agire, non lascia molti margini di
tempo.
Sul terreno del cosiddetto “patto per la crescita e l’occupazione” e delle
risorse necessarie per promuoverle, (ivi compresi gli aspetti fiscali che riguardano
l’introduzione di una) sono da apprezzare le decisioni di
– raddoppiare il bilancio, portandolo dall’1% al 2% del PIL europeo
– di introdurre i project bonds per finanziare grandi reti infrstrutturali
– di istituire la tassa europea sulle transazioni finanziarie (TTF) a partire da
un gruppo di paesi.
Sono obiettivi sui quali insistono da tempo i federalisti. Si tratta ora di fare
in modo che la TTF sia una vera tassa europea. Per questo saranno sempre più
importanti le iniziative che le forze politiche e sociali prenderanno su questo
terreno per mobilitare le opinioni pubbliche e premere sulle istituzioni nazionali ed
europee affinché si passi dalle parole ai fatti.
Certamente, continuano a rimanere aperti ed irrisolti i problemi posti dalla necessità di procedere verso l’unione fiscale, l’unione politica e di colmare il deficit
di legittimità democratica nel governo dell’Eurozona. In proposito, il Presidente
Hollande ha ammesso che i Capi di Stato e di governo hanno deciso di basare la
loro azione sui trattati esistenti, in quanto non sono “ancora pronti per fare il salto
federale”.
E’ quindi su questo terreno della maturazione della volontà politica
necessaria per definire un progetto istituzionale di unione federale tra i paesi
dell’euro, con il coinvolgimento dei cittadini e dei parlamentari nazionali ed
europei, e per fissare un calendario per realizzarlo, che i governi, i parlamenti
nazionali, il Parlamento europeo, le forze politiche e sociali e della società civile
dovranno sapersi impegnare; e che i federalisti continueranno ad incalzarli.


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