Chi se li ricorda i “fantocci”? Quei “pupazzi” di Carnevale che, costruiti dal Maestro Antonio Cervone e dai suoi “fortunati” alunni del plesso “De Amicis” di Gaeta, facevano poi il giro della città per finire bruciati la sera del Martedì grasso?

Carnevale d’altri tempi! Questa foto è del 1968… quando ai Cappuccini (o a Sant’Antonio, dove oggi sorge l’ospedale intitolato a monsignor Di Liegro, per intenderci), c’era la Scuola elementare “De Amicis”. E c’era questo insegnante particolare, il maestro dei “presepi”, delle partite a pallone nel cortile dell’istituto, delle recite storiche e…dei fantocci di Carnevale, appunto! Antonio Cervone, mio padre!, insegnante speciale, attento e severo in classe, accogliente e simpatico nelle occasioni che, come quella del Carnevale o del Natale, lo facevano tornare bambino, alunno tra i suoi alunni. Dal giovedì grasso si iniziava a costruire il “fantoccio” con maschere di carta pesta o di cartone o di plastica leggera. Carta crespa o panni coprivano l’ossatura in legno (per lo più un’asta che faceva da tronco a sostegno dell’imbottitura di stracci, spago, colla e giornali) che doveva essere della giusta altezza per contenere uno o più alunni (magari a turno) che avrebbero avuto l’onore di portare il “pupazzo” in giro per le strade, i negozi, le case. Due o più fori sull’addome del gigante rendevano possibili i movimenti e permettevano di procedere senza cadere, salire e scendere le scale, ballare addirittura. Per la mattina del Carnevale tutto doveva essere pronto. Stelle filanti e coriandoli a volontà (magari ricavati con carta di giornale o di quaderno colorati con cura e fantasia) completavano l’opera e il fantoccio iniziava il suo giro tra gli alunni mascherati che si divertivano a salutarlo o a rincorrerlo. Dopo l’orario di scuola il maestro Cervone arrivava a casa accompagnato da questo “carnevalone”. Ricordo ancora mia madre che apriva la porta e si trovava il fantoccio immobile nel pianerottolo.  Poi, senza parlare, inscenava un balletto e le faceva l’inchino. Lei rideva e ci chiamava. Noi bambini, timidi all’inizio, battevamo le mani nel vedere poi che le scarpe del pupazzo erano quelle del nostro babbo giocherellone! Ed ecco che, dalle colonne del portone o dal giardino, spuntavano alcuni alunni divertiti e tutto finiva in una grande risata… Poi mio padre usciva dal suo altissimo nascondiglio e gli alunni prendevano il suo posto per portare via il fantoccio e iniziare il lungo giro per le strade di Gaeta. Il compito del maestro era finito. E, a sera, il gigante di cartapesta sarebbe finito tra le fiamme come si conviene ad ogni fantoccio di Carnevale che si rispetti! Usanze, riti antichi per un ingenuo divertimento e una lezione speciale di vita! Chissà se questi bambini della foto ricordano ancora quel febbraio del 1968… e quel maestro dall’imponente statura e dal cuore buono…

A me -che lo ricordo commossa e orgogliosa di aver avuto un padre così!- non resta che salutare tutti voi augurandovi buon Carnevale con questa foto di una Sandra bambina mascherata da fiore….

…perchè il profumo del passato ci inebri tutti e ci inviti alla sana nostalgia e a sorridere alla vita con tutta la poesia dell’infanzia e dei momenti felici!!!!

Sandra Cervone


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