Mario Draghi

BRUXELLES – Presentato questa mattina il Report di Mario Draghi sulla Competitività europea nel corso di una conferenza stampa congiunta con la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen.

“Questo rapporto – uno studio di 400 pagine assegnato da von der Leyen a Draghi esattamente un anno fa – arriva in un momento difficile per il nostro continente. Un momento in cui dovremmo abbandonare l’illusione che solo la procrastinazione possa preservare il consenso. In effetti, la procrastinazione ha solo prodotto una crescita più lenta, e certamente non ha ottenuto alcun consenso. Siamo arrivati ​​al punto in cui, senza agire, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà”. Così l’ex presidente della BCE, Mario Draghi, nella prefazione del Rapporto.

“Entro il 2040, forza lavoro in calo di 2 milioni di lavoratori all’anno”

Fra i temi affrontati nel Report, trova ampio spazio quello della crescita dell’Unione che, “nel primo periodo della sua storia recente”, “non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione”. “Entro il 2040 – spiega l’ex presidente – si prevede che la forza lavoro diminuirà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno. Dovremo puntare maggiormente sulla produttività per stimolare la crescita. Se l’UE dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente mantenere il PIL costante fino al 2050, in un momento in cui l’UE si trova ad affrontare una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita più elevata”.

Per digitalizzazione e decarbonizzazione necessari +5 punti percentuali PIL, 800 miliardi

Il secondo ambito di azione presentato nel Report è quello per la decarbonizzazione e la competitività dell’UE, per le quali “la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali di PIL, raggiungendo livelli visti l’ultima volta negli anni ’60 e ’70″. Si parla – in base alle ultime stime della Commissione – della necessità “di un investimento aggiuntivo annuo minimo di 750-800 miliardi di euro, corrispondente al 4,4-4,7% del Pil dell’UE nel 2023″ senza il quale l’UE non può raggiungere gli obiettivi stabiliti nel rapporto.

A titolo di confronto, “gli investimenti nell’ambito del Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 erano equivalenti all’1-2% del Pil dell’Ue. Per realizzare questo aumento, la quota di investimenti dell’Ue dovrebbe aumentare da circa il 22% del Pil attuale a circa il 27%, invertendo un declino pluridecennale nella maggior parte delle grandi economie dell’Ue”.

“Se l’Europa non diventerà più produttiva, dovremo scegliere”, si legge nella prefazione del Report. “Non saremo in grado di diventare allo stesso tempo leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. Questa è una sfida esistenziale”, ha aggiunto.

“Senza politiche coordinate, transizione è freno alla crescita”

Un’arma a doppio taglio quella della decarbonizzazione che, se accompagnata “da un piano coerente”, può rappresentare “un’opportunità per l’Europa”, o altrimenti divenire un forte rischio per la sua competitività e crescita. Nel medio termine, la decarbonizzazione contribuirà a spostare la produzione di energia verso fonti pulite, sicure e a basso costo, ma “i combustibili fossili continueranno a svolgere un ruolo centrale nella determinazione dei prezzi dell’energia, almeno per il resto di questo decennio“. “Senza un piano volto a trasferire i benefici della decarbonizzazione agli utenti finali, i prezzi dell’energia continueranno a pesare sulla crescita”.

Innovazione bloccata: l’UE colmi il divario con Stati Uniti e Cina

“Il presente rapporto identifica tre principali aree di azione per rilanciare la crescita sostenibile”. Sebbene l’UE non parta da zero in ambiti come “sistemi educativi e sanitari forti, e stati sociali robusti“, collettivamente non riesce a convertire questi punti in “industrie produttive e competitive sulla scena globale”, ha proseguito Draghi.

“L’Europa deve riorientare profondamente i propri sforzi collettivi per colmare il divario innovativo con Stati Uniti e Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate. Siamo bloccati in una struttura industriale statica con poche nuove aziende che nascono per sconvolgere le industrie esistenti o sviluppare nuovi motori di crescita. Il problema non è che all’Europa manchino idee o ambizioni, ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a tradurla in commercializzazione, e le aziende innovative che vogliono espandersi in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive”.

Lo stesso discorso vale per l’intelligenza artificiale, che va “sbloccata e applicata ai settori produttivi esistenti”, perché l’Europa non può permettersi di rimanere ferma a “tecnologie e industrie intermedie del secolo precedente”. Ciò che ancora manca, e che rappresenterà “una parte centrale dell’agenda”, sono le competenze di cui gli europei hanno bisogno per “beneficiare delle nuove tecnologie, in modo che queste vadano a pari passo con l’inclusione sociale”.

Concorrenza cinese, minaccia per industrie di energia pulita e auto

Come sottolineato nel Report, “la concorrenza cinese sta diventando acuta in settori come quello delle tecnologie pulite e dei veicoli elettrici, guidata da una potente combinazione di massicce politiche industriali e sussidi, rapida innovazione, controllo delle materie prime e capacità di produrre su scala continentale”.

“L’UE si trova di fronte a un possibile compromesso. La crescente dipendenza dalla Cina potrebbe rappresentare la strada più economica ed efficiente per raggiungere i nostri obiettivi di decarbonizzazione. Ma la concorrenza sponsorizzata dallo Stato cinese rappresenta anche una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologia pulita e automobilistica. La decarbonizzazione deve avvenire per il bene del nostro pianeta. Ma affinché diventi anche una fonte di crescita per l’Europa, avremo bisogno di un piano congiunto che coinvolga le industrie che producono energia e quelle che consentono la decarbonizzazione, come le tecnologie pulite e l’automotive”.

Serve una “politica economica estera”

Per quanto riguarda la produzione di chip, “il 75-90% della capacità globale di fabbricazione si trova in Asia“. “Queste dipendenze sono spesso bidirezionali – ad esempio, la Cina fa affidamento sull’UE per assorbire la sua sovraccapacità industriale – ma altre grandi economie come gli Stati Uniti stanno attivamente cercando di districarsi. Se l’UE non agisce, rischiamo di essere vulnerabili alla coercizione. In questo contesto, avremo bisogno di un’autentica ‘politica economica estera’ dell’UE per preservare la nostra libertà”.

L’UE dovrà coordinare accordi commerciali preferenziali e investimenti diretti con le nazioni ricche di risorse, accumulare scorte in aree critiche selezionate e creare partenariati industriali per proteggere la catena di approvvigionamento delle tecnologie chiave. Solo insieme possiamo creare la leva di mercato necessaria per fare tutto questo”.

Come finanziare il progetto di trasformazione dell’economia UE?

Una domanda chiave che si pone alla luce di questo Rapporto è: com’è possibile finanziare i massicci investimenti necessari alla trasformazione dell’economia UE?

Draghi non ha mancato di rispondere: “In primo luogo, mentre l’Europa deve avanzare con la sua Unione dei mercati dei capitali, il settore privato non sarà in grado di sostenere la parte più grande nel finanziamento degli investimenti senza il sostegno del settore pubblico. In secondo luogo, quanto più l’UE sarà disposta a riformarsi per generare un aumento della produttività, tanto più aumenterà lo spazio fiscale e più facile sarà per il settore pubblico fornire questo sostegno”. Per massimizzare la produttività “saranno necessari finanziamenti congiunti per gli investimenti in beni pubblici europei chiave, come l’innovazione rivoluzionaria”.

“Allo stesso tempo, ci sono altri beni pubblici identificati in questo rapporto – come gli appalti per la difesa o le reti transfrontaliere – che senza un’azione comune saranno scarsamente forniti. Se le condizioni politiche e istituzionali fossero soddisfatte, questi progetti richiederebbero anche un finanziamento comune”.


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