Gaza – La fragile tregua tra Israele e Hamas è sull’orlo del collasso. Ieri, Hamas ha consegnato sei ostaggi israeliani come parte della prima fase di un accordo di cessate il fuoco mediato da Qatar ed Egitto, ma oggi il gruppo palestinese ha annunciato la sospensione di ogni negoziato con Israele tramite intermediari. La decisione arriva in risposta al rifiuto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di liberare i 602 prigionieri palestinesi previsti dall’intesa, un passo che Hamas considera non negoziabile.

Secondo fonti vicine al movimento, Hamas accusa Israele di aver violato i termini dell’accordo procrastinando il rilascio dei detenuti, molti dei quali catturati a Gaza dopo il 7 ottobre 2023. “Non ci sarà alcun dialogo finché i prigionieri non saranno liberati,” ha dichiarato Mahmoud Mardawi, alto funzionario di Hamas, in una conferenza stampa a Gaza. “I mediatori devono costringere Israele a rispettare gli impegni presi.” La mossa segna un’escalation delle tensioni, con Hamas che sembra voler alzare la posta mentre la prima fase del cessate il fuoco, iniziata il 19 gennaio, si avvicina alla scadenza.

Dall’altra parte, Netanyahu ha giustificato il blocco del rilascio con la necessità di garanzie da parte di Hamas. In una dichiarazione rilasciata ieri, il premier israeliano ha accusato il gruppo di “sfruttare cinicamente” gli ostaggi per propaganda, citando le cerimonie di consegna – trasmesse in diretta da Gaza – come “umilianti” per i prigionieri israeliani e le loro famiglie. Durante uno degli ultimi trasferimenti, i sei ostaggi – tra cui Omer Wenkert ed Eliya Cohen – sono stati circondati da combattenti mascherati di Hamas e costretti a posare davanti a una folla festante, un’immagine che ha scatenato indignazione in Israele. “Non libereremo nessuno finché non avremo certezze che queste pratiche degradanti cessino,” ha ribadito Netanyahu, dopo un consulto con i vertici della sicurezza.

Il ritardo israeliano ha lasciato nell’incertezza centinaia di famiglie palestinesi che attendevano il ritorno dei propri cari. Video trasmessi dalla Cisgiordania mostrano parenti radunati fuori dalla prigione di Ofer, disperdersi in lacrime dopo ore di attesa sotto un freddo pungente. “È una beffa crudele,” ha detto Shireen al-Hamamreh, sorella di un detenuto, ad Al Jazeera. Sul fronte opposto, le famiglie degli ostaggi israeliani ancora in mano a Hamas – si stima siano circa 60, di cui meno della metà in vita – chiedono al governo di non compromettere il processo di rilascio con nuove condizioni.

La situazione mette sotto pressione i mediatori internazionali, che temono un ritorno alle ostilità. L’accordo, che prevedeva lo scambio graduale di 33 ostaggi israeliani per oltre 1.500 prigionieri palestinesi nella sua prima fase, ha già visto il rilascio di 25 israeliani e cinque thailandesi, ma ora vacilla. Intanto, in Cisgiordania, l’esercito israeliano ha intensificato le operazioni, con carri armati entrati in tre campi profughi – un segnale che la tregua potrebbe non reggere a lungo.

Con il termine della prima fase fissato al 2 marzo, il tempo stringe. Hamas insiste che il rilascio dei prigionieri sia un atto dovuto, mentre Netanyahu sembra determinato a imporre nuove regole al gioco. La domanda che aleggia è una sola: prevarrà la diplomazia o la guerra riprenderà il sopravvento?
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