050315-N-3241H-001 The nuclear powered aircraft carrier USS Carl Vinson (CVN 70) plows through the Indian Ocean as aircraft on its flight deck are prepared for flight operations on March 15, 2005. The Carl Vinson Strike Group is en route to the Persian Gulf to support for Operation Iraqi Freedom. DoD photo by Petty Officer 3rd Class Dusty Howell, U.S. Navy. (Released)

Blitz contro le milizie filo-iraniane dopo il raid che ha ucciso tre militari Usa. Bombe anglo-americane anche su obiettivi houthi nello Yemen

La notte della vendetta. Nella tarda serata di venerdì gli Stati Uniti hanno fatto quello che era prevedibile: hanno attaccato obiettivi in Irak e Siria, una rappresaglia contro le milizie appoggiate dall’Iran che domenica scorsa avevano colpito con i droni un avamposto militare americano in Giordania, uccidendo tre militari Usa e ferendone più di altri 40. L’attacco segue di poche ore il rientro presso la base aerea di Dover nel Delaware, delle salme dei soldati a stelle e strisce, al quale ha assistito il presidente Joe Biden accompagnato dalla moglie Jill. L’amministrazione Biden ha promesso ulteriori azioni nei prossimi giorni, «a più livelli», come affermato dal segretario alla Difesa Lloyd Austin.

Alti funzionari dell’amministrazione Usa hanno però precisato alla Cnn che i raid non saranno portati sul territorio dell’Iran, evitando quella che sarebbe «un’enorme escalation». Ieri notte bombardieri americani e inglesi hanno attaccato anche obiettivi houthi a Sana’a, nello Yemen. Gli attacchi sono stati violenti. Secondo l’agenzia di stampa iraniana, ci sarebbero almeno sedici morti, tra i quali alcuni civili e Saaed Alidadi, alto rappresentante della Guardia Rivoluzionaria iraniana e consigliere militare in Siria, ucciso ad Aqraba, a sud di Damasco. Secondo Centcom le forze americane hanno colpito oltre 85 obiettivi in sette differenti siti, tra i quali l’area di Al Mayadin, considerata la «capitale iraniana» in Siria, e il distretto di Al Bukamal, al confine con l’Irak e importante via di rifornimento.

Tra i target colpiti «centri di comando e controllo, di intelligence, razzi e missili, depositi di veicoli aerei senza pilota, strutture logistiche e di fornitura di munizioni di gruppi di milizie». «Gli Stati Uniti – ha detto solenne Biden – non cercano il conflitto in Medio Oriente o in altre parti nel mondo. Ma lasciate che tutti quelli che cercano di colpirci sappiano: se farete del male a un americano, noi risponderemo».
Il poderoso attacco delle scorse ore ha sia un valore simbolico sia uno pratico. È infatti un messaggio alle milizie filo-iraniane e alla Guardia rivoluzionaria ma anche un modo per indebolire la loro capacità militare «in modo più vigoroso», come ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza John Kirby, secondo il quale gli obiettivi bombardati sono stati «scelti con cura» per evitare vittime civili e sono collegati in base a «prove inconfutabili» agli attacchi condotti contro il personale americano nella regione. Kirby garantisce che la Casa Bianca aveva precedentemente informato il governo iracheno (circostanza che Baghdad peraltro nega) ma non l’Iran, con cui Washington non ha più contatti dall’attentato alla Torre 22, dove sono di stanza circa 350 soldati americani che svolgono varie mansioni di sostegno alla coalizione internazionale per contrastare l’Isis.

I media iraniani hanno mostrato le immagini di alcuni dei siti colpiti, come le basi del gruppo miliziano sciita Kataib Hezbollah ad Akashat, nella provincia irachena di Al Anbar, vicino al confine con la Siria. Un portavoce del primo ministro iracheno, il generale Yehia Rasool, ha detto che gli attacchi sono una «violazione» della sovranità irachena e che avranno «conseguenze disastrose per la sicurezza e la stabilità dell’Iraq e della regione». Baghdad ha fatto sapere che convocherà l’incaricato d’affari statunitense a Baghdad per esprimere una protesta ufficiale. Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanaani, condanna «con forza» gli attacchi statunitensi su Iraq e Siria e parla di «errore strategico» e di «minaccia alla pace e alla sicurezza nella regione». E anche Mosca fa sentire la sua voce: la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria zakharova condanna «fermamente il nuovo palese atto di aggressione americano-britannica contro Stati sovrani». La Russia ha chiesto ieri una riunione urgente del cosiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Fonte giornale.it


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