Nonostante al termine del vertice NATO sia emersa la linea chiara di portare le spese per la difesa al 5% del PIL entro il 2035 seguendo la ripartizione del 3,5% per gli standard militari dell’Alleanza e dell’1,5% per le spese strategiche connesse, la Spagna si sfila. Ma cosa c’è dietro al no di Pedro Sánchez e quali saranno le possibili conseguenze politiche di questa decisione?
La posizione di Madrid
Il premier spagnolo ha motivato la decisione con un chiaro richiamo alla sostenibilità interna e all’equilibrio dei conti pubblici. Secondo Sánchez, l’attuale livello di spesa – il 2,1% del PIL – è sufficiente a garantire il contributo spagnolo agli obiettivi comuni dell’Alleanza, come confermato anche dalle stime delle forze armate iberiche.
Il Premier spagnolo ha spiegato che non si tratta di cifre politiche, ma tecniche; una scelta, come visto nelle ore successive al vertice dell’Aja, che ha immediatamente suscitato l’ira di Trump che ha minacciato doppi dazi nei confronti di Madrid.
Difesa sì, ma non a ogni costo
La decisione del governo Sánchez è stata come dire: noi non ci disimpegniamo di fronte alla sicurezza europea, ma dobbiamo dare priorità ai problemi nazionali. Una scelta che ha fatto subito aumentare la tensione tra Paesi membri della Nato. Paesi come Polonia e Belgio hanno criticato duramente l’esenzione spagnola, sostenendo che qualsiasi deviazione da questo principio da parte di un membro è un cattivo esempio.
Ma simili deroghe potrebbero davvero indebolire la solidità dell’impegno collettivo dell’Alleanza?
Per questo bisognerà aspettare il 2029. Il piano sottoscritto, infatti, prevede una verifica intermedia nei vertici NATO tra 4 anni. Se la Spagna non avrà conseguito risultati concreti – anche senza aumentare al 5% – potrebbe trovarsi isolata o subire pressioni per rientrare nei ranghi. Ma ci potrebbero essere conseguenze per l’Europa? Il summit ha sancito una trattativa transatlantica: l’Europa ha promesso di aumentare la spesa al 5%, e Trump ha riaffermato l’impegno verso l’Articolo 5
Ma che significa?
L’Articolo 5 del Trattato NATO dice che se un Paese dell’Alleanza viene attaccato, tutti gli altri lo difenderanno come se fossero stati attaccati anche loro. È il principio della difesa collettiva. L’impegno di Trump significa, dunque, che almeno per ora gli Stati Uniti rispetteranno questo patto: se un alleato viene attaccato (per esempio dalla Russia o da un altro nemico), gli USA interverranno per difenderlo. Ma c’è un ma: Trump ha collegato questo impegno al fatto che i Paesi europei spendano abbastanza per la Difesa. In pratica, ha detto: “Vi difendiamo solo se pagate la vostra parte”. Quindi il suo impegno non è automatico, ma condizionato ai contributi militari degli altri Paesi.
Cosa dicono gli analisti.
Un nodo che ha scomodato i più grandi commentatori internazionali; alcuni di loro temono che un aumento senza strategia possa spingere verso una corsa al riarmo senza un disegno politico chiaro, altri avvertono che servono strumenti finanziari sofisticati (banca della difesa, investimenti privati) affinché l’impegno non resti solo simbolico, altri ancora
hanno evidenziato che quanto emerso dal summit dà margine a eccezioni come quelle della Spagna. Ma rimane incerto il piano USA per il mantenimento della presenza militare in Europa: un ritiro significherebbe, comunque, un vuoto difficile da colmare.
In sintesi il quadro odierno pare essere questo: la Spagna resta formalmente nella NATO, ma si apre una spaccatura tra chi pretende coerenza al centesimo e chi guarda alla sostenibilità domestica. Alla UE spetta, a questo punto, anche il delicato compito di diventare il vero mediatore chiave nel dialogo commerciale e diplomatico tra Madrid e Washington e, dunque, il successo del piano dipenderà dalla capacità europea di strutturare concretamente la spesa difensiva, un tema indicato come cruciale dagli analisti.
Il 2029 sarà, dunque, la prima occasione per misurare in concreto l’impegno reale di Madrid (e potenzialmente di altri Paesi). Come la si voglia vedere la decisione spagnola apre una nuova fase per l’Europa: da alleanza unificata sui numeri a comunità di intenti dove contano anche capacità, specificità nazionali e strategia politica.
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