Washington (eu24news.eu) – C’è un’immagine che resterà impressa: Netanyahu alla Casa Bianca, al fianco di Donald Trump, mentre annuncia il suo “sì” al piano americano. Un piano che promette di liberare gli ostaggi israeliani in cambio di 250 prigionieri palestinesi, di affidare a un governo provvisorio guidato da Washington e da Tony Blair l’amministrazione di Gaza, e di aprire – forse – la strada verso uno Stato palestinese.
Non è poco. Per la prima volta dopo mesi di guerra, si intravede una cornice diplomatica. Ma la stessa cornice è fragile. Hamas, che pure vuole fermare la guerra, ha già bollato la proposta come “sbilanciata”. Eppure si siederà a discuterne, consapevole che la sua stessa sopravvivenza politica dipende dal non restare isolata. Secondo il canale saudita Al-Sharq, infatti, la leadership di Hamas discuterà la proposta insieme alle fazioni palestinesi, sottolineando la volontà di “fermare la guerra e alleviare le sofferenze della popolazione”.
Netanyahu, dal canto suo, ha messo le mani avanti: se Hamas dirà no, “finirò il lavoro”. Un avvertimento che suona più come minaccia che come garanzia di pace. E che conferma la linea israeliana: qualunque sia l’accordo, la sicurezza resterà nelle mani dello Stato ebraico. Nel corso dell’incontro, i due leader hanno avuto un colloquio telefonico con il premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, incentrato sulla proposta di cessazione delle ostilità, sulla prospettiva di un Medio Oriente più stabile e sulla necessità di rafforzare i rapporti bilaterali. Netanyahu ha inoltre presentato le proprie scuse per l’attacco a Doha, assicurando che simili episodi non si ripeteranno.
Ma mentre i leader parlano nei palazzi, sul mare si gioca un’altra partita. La Global Sumud Flotilla – oltre quaranta barche cariche di aiuti umanitari – avanza verso la Striscia. Sono a pochi giorni da Gaza, determinate a rompere il blocco navale israeliano. Per Tel Aviv si tratta di una “provocazione politica”. Per gli attivisti, invece, è l’unico modo di “rompere l’assedio” e creare un corridoio umanitario permanente.
Due fronti, due narrazioni. Da una parte la diplomazia delle cancellerie, che immagina un futuro con Gaza “deradicalizzata e libera dal terrorismo”. Dall’altra la pressione dal basso, con navi di cittadini e parlamentari che vogliono scuotere l’opinione pubblica mondiale. Il destino della Striscia resta appeso tra la trattativa diplomatica tra Netanyahu, Trump e Hamas, e la pressione internazionale che viaggia sul mare. Il tempo, però, stringe. Non solo per gli ostaggi, non solo per i prigionieri, ma per un popolo che vive ormai sotto le macerie.
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