Viterbo (eu24news) – Ogni anno, Viterbo si trasforma in un palcoscenico di luce, fede e tradizione. La Macchina di Santa Rosa, patrimonio immateriale UNESCO, attraversa le vie del centro portata a spalla da cento uomini, mentre migliaia di persone accorrono da tutta Italia e dall’estero per assistere a uno degli eventi più suggestivi del panorama religioso e civile nazionale. È una celebrazione che unisce la comunità e richiama le massime autorità civili e militari dello Stato Italiano, quest’anno erano presenti il ministro degli Esteri Antonio Tajani e la vicepresidente del Parlamento europeo Antonella Sberna, viterbese e figura istituzionale di rilievo. Ma dietro la festa, si è celato un pericolo concreto e inquietante. Due uomini armati, di origine turca, sono stati arrestati poche ore prima della processione. Mitra, pistole, munizioni e sospetti ordigni esplosivi sono stati rinvenuti in un B&B lungo il percorso. L’intervento tempestivo della Digos e dell’intelligence italiana ha sventato un attentato che avrebbe potuto colpire non solo Viterbo, ma l’intera Europa. Il bersaglio non era solo la Macchina o la folla: era il cuore stesso della democrazia occidentale.
La risposta dello Stato è stata immediata e decisa. Reparti speciali, Nocs, cecchini sui tetti, unità cinofile e sorveglianza rafforzata. Per la prima volta, la processione si è svolta con l’illuminazione pubblica accesa, rompendo la tradizione del buio che esalta la luce della Macchina. Una scelta dolorosa, ma necessaria. La sicurezza ha prevalso sulla ritualità, e la cittadinanza ha compreso la gravità della minaccia.
A questo si è aggiunta una provocazione politica: manifesti offensivi contro il ministro Tajani, affissi in città e firmati dai Giovani Democratici locali. “Tajani, ci fai schifo”, recitava uno di questi, con un’immagine accanto al premier israeliano Netanyahu. Un gesto che ha suscitato condanna unanime. Non è dissenso, è intolleranza. E non è politica, è violenza verbale.
Questi episodi, apparentemente scollegati, raccontano una verità scomoda: l’Occidente è sotto pressione. Le manifestazioni civili, i momenti di unità, sono sempre più spesso bersaglio di chi rifiuta le regole democratiche e cerca di imporre la propria visione con la forza. Non si tratta solo di terrorismo, ma anche di radicalizzazione ideologica, di linguaggi che alimentano l’odio e minano la coesione sociale.
Viterbo ha resistito. Ha scelto la luce, anche quando la paura suggeriva il buio. E ha dimostrato che la democrazia, se difesa con fermezza e intelligenza, può ancora prevalere. Ma non basta una notte. Serve un impegno quotidiano. Perché il pericolo non è alle porte: è già tra noi. E solo la cultura democratica, vissuta e protetta, può tenerlo fuori.
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